Maremma: le radici di un paesaggio attraverso le trasformazioni del territorio
Maremma: le radici di un paesaggio attraverso le
trasformazioni del territorio
Se una milionata d’anni fa un
esemplare di homo erectus avesse navigato davanti alle coste maremmane, a sud
del poggio di Castiglione della Pescaia avrebbe notato che la linea di costa
arretrava a formare una profonda ed
ampia insenatura che andava a richiudersi con i monti dell’Uccellina. Come?
Dite che l’homo erectus non navigava? Prima di tutto non si sa! E poi, se è per
questo, non sapeva neppure che stava bordeggiando le coste della Maremma, non
sapeva di Castiglione né dell’Uccellina perché ancora nessun homo erectus aveva
avuto lo schiribizzo di diventare topografo o geografo (prima avrebbe dovuto
diventare Sapiens!). Perciò non sapeva neanche che i numerosi corsi d’acqua che
confluivano nel golfo un giorno si sarebbero chiamati fiume Umbro o fiume Bruna
o torrente Sovata; e non gli
importava neanche di saperlo, come credo non gli sarebbe importato nulla di
questa storia. Aveva altre esigenze!
Comunque la situazione, a
occhio e croce, era questa:
Ma i fiumi, in particolare l’Ombrone, apportavano sedimenti nel mare ed il gioco delle correnti marine
da sud determinò lo spostamento e l’accumulo dei materiali scaricati verso nord,
con la formazione di un cordone dunale e,
quindi , di tomboli litoranei e di
retrostanti lagune. Si cominciava a formare il lago Prile (Prilius per i romani).
In età etrusca il
lago Prile era così:
Comunicava con il mare e su di esso si affacciavano due
città poste in posizione opposta, Roselle
e Vetulonia: non esistono evidenze archeologiche, ma la ricchezza dei
commerci delle due città fa pensare all’esistenza di attracchi portuali separati dalle rispettive aree urbane site
strategicamente in posizione elevata.
Nel I secolo d. C. il lago
Prile doveva essere un luogo accogliente – anche per le opere di scolo delle acque e di collegamento
tra lago e mare realizzate dai romani e citate da Plinio – ed ambìto da
personaggi di rilievo se, come riferito da Cicerone nell’orazione Pro Milone, in un'isola che corrisponde
oggi a una collina indicata nelle carte come Badiola al Fango ma conosciuta col
toponimo di Isola Clodia, tale Clodio
aveva costruito una villa in terreno non suo: come vedete, niente di nuovo
sotto il sole!!!
Il degrado e l'abbandono delle campagne verificatisi nelle epoche successive portarono ad un
deterioramento ambientale di quelle zone; il lago di Castiglione era diventato
una grande palude nella quale a nord si immettevano il Bruna e i torrenti Sovata
e Fossa, mentre a sud fungeva da cassa di espansione per le piene dell'Ombrone:
i fiumi sversavano così sedimenti nel lago, favorendone il graduale
interramento.
Alla fine del XVI, l’istituzione
dell'Ufficio dei Fossi (1592) da di
fatto inizio alla storia delle bonifiche maremmane, con l'avvio di lavori di
scavo e di drenaggio delle acque di palude; negli anni successivi ad opera di Cosimo II dei Medici viene aperto un canale, il Navigante, che permetteva il trasporto delle
merci tra Castiglione della Pescaia e Grosseto.
Diaccia Botrona: Canali (foto Nino Costa) |
Gli
anni dal 1766 al 1778 sono quelli della bonifica idraulica di Ximenes, al quale viene affidato il
compito di riordinare lo stato del lago di Castiglione: vengono riattivati vecchi scoli e scavati
nuovi canali, viene sistemato l'argine destro dell'Ombrone e messi in sicurezza idraulica i fiumi
Bruna, Sovata e Fossa mediante la costruzione di argini, innalzata con colmata
la zona settentrionale della pianura (Acquisti e Raspollino) e realizzate opere
di difesa dalle acque del mare, come la casa
Rossa.
Ma la tecnica per colmata si dimostra molto meno efficace e molto più lunga di quanto preventivato da chi l’aveva ideata, per cui i lavori si esauriscono.
Le
mutate condizioni culturali oggi fanno sì che le zone umide non siano più
considerate territori malsani da bonificare bensì ambienti di altissimo
interesse ecologico, paesaggistico e territoriale, ma anche culturale,
educativo ed economico. In Maremma poi rappresentano l’elemento identitario
precipuo del territorio: ne segnano la toponomastica (Castiglione della Pescaia, Montepescali, Giuncarico,
Strada dei Laghi, Piatto Lavato
rimandano alla presenza di acqua, ma anche lo stesso toponimo Maremma indica una terra interconnessa
col mare), ne raccontano la storia nel momento in cui i canali che attraversano
la Diaccia (canale Tanaro, canale Bilogio, Antico Canale Navigabile, Canale
Unico Collettore) rappresentano le tracce delle passate bonifiche, hanno gli
stessi pezzi di DNA di quel golfo ampio e profondo che l’Homo Erectus e
navigante osservò senza farci tanto caso una milionata di anni fa.
Diaccia Botrona: Casa Rossa (foto Nino Costa) |
Nel 1828 Leopoldo II ordina la bonifica del padule secondo il progetto di sistemazione idraulica col metodo della colmata, consistente nell’adduzione di sedimenti dell’Ombrone in recinti di colmata (vasche di decantazione dei detriti solidi portati dal fiume) e nel successivo scolo al mare delle acque chiarificate,
di fatto nel tentativo di accelerare quello che la natura aveva fatto nei
secoli: i lavori cominciano verso la fine del 1829 con circa cinquemila operai.
In 15 anni, tra il 1829 e il 1844 viene realizzata una gigantesca opera di
risistemazione idraulica del territorio con l’escavo di canali di adduzione a
terra delle torbide e di emissari di sgrondo in mare delle acque chiare.
In particolare vengono escavati
il Primo Canale Diversivo lungo
7 chilometri, dotato di una steccaia e di una presa d'acqua a Ponte Tura, il Secondo
Canale Diversivo lungo il tracciato del vecchio Navigante e tre emissari del padule, destinati
a far defluire fino al mare le acque dai recinti di colmata (il San Rocco, il
San Leopoldo e il Bilogio).
Ma la tecnica per colmata si dimostra molto meno efficace e molto più lunga di quanto preventivato da chi l’aveva ideata, per cui i lavori si esauriscono.
Riprendono nel 1928 con l'istituzione del Consorzio di Bonifica: pur non rinunciando alle colmate, il Consorzio si orienta verso tecniche di bonifica idraulica con prosciugamento per scolo naturale e, soprattutto, meccanico (tramite pompaggio delle acque). La pianura viene quindi dotata di una fitta rete di canali in grado di collettare le acque di drenaggio dei terreni, vengono separate le acque alte (la rete scolante di provenienza collinare) dalle acque basse (le acque di drenaggio della pianura con profilo altimetrico insufficiente per lo scarico naturale in mare) e realizzate le idrovore di Cernaia, Barbaruta e Casotto Venezia per sollevare e convogliare verso il mare le acque basse. Con la separazione delle acque alte dalle acque basse e l'utilizzo delle idrovore inizia la bonifica meccanica, che trova completamento nel periodo 1950/60 con il totale prosciugamento di una vastissima area, il cui unico residuo è costituito dai circa 1000 ettari attuali della Diaccia Botrona.
Diaccia Botrona (foto Nino Costa) |
Riferimenti:
Consorzio
Bonifica Grossetana - La Memoria della terra, 2002;
Consorzio
Bonifica Grossetana - Piano di
Classifica, 2007;
Costa,
Giannerini - Le zone umide in Maremma: il caso della Diaccia Botrona, Regione
Toscana, Conferenza sullo Stato dell’Ambiente, vol. IV, 1997;
M.
G. Celuzza - Formazione ed evoluzione
del Lago Prilius, Progetto INFEA “Maremma interfaccia tra due mari”.
Per approfondimenti si
consiglia di visitare il sito del Consorzio di Bonifica Grossetana (www.bonificagrossetana.it) corredato, tra l’altro, di ricca e interessante documentazione
fotografica.
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